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Attualità

La gabbia

Ho pubblicato per la prima volta questo articolo in marzo del 1999 ed è davvero impressionante come a distanza di più di ventidue anni sia rimasto attuale.
Immagina un giardino zoologico, in mezzo a tante altre vi è una grande gabbia coperta da una rete a maglie larghe anche se molto robusta. Se ti avvicini, puoi vedere benissimo la bestia che vi abita dentro, puoi sentirne l’odore, e, se infili due dita tra la rete, puoi anche toccarla ma……… Attento, potrebbe mordere.

L’animale dentro la gabbia può mangiare, bere, dormire, giocare; infatti la gabbia è provvista di cibo, acqua e di alcuni giochi per distrarre il suo abitante. se l’animale che vi abita avesse l’intelligenza, potrebbe anche lavorare, magari con il telelavoro! Inoltre l’animale può muoversi liberamente tanto che a volte non si ricorda di essere in gabbia. Può comunicare con l’esterno e, se avesse l’uso della parola, non gli sarebbe difficile fare una tavola rotonda con quelli dall’altra parte delle sbarre. A ricordargli però di essere in gabbia è la porta che rimane sempre chiusa con una robusta serratura che qualche volta si apre ma ciò è concesso solo agli “addetti ai lavori”. Qualche altra volta, tramite gli addetti ai lavori, l’animale viene trasportato in un’altra gabbia, sempre controllata e ben chiusa, ma non ha mai la possibilità di decidere in quale luogo potrà andare.
Quanto hai appena letto è solamente una metafora; l’abitante della gabbia è il non vedente o qualsiasi altro portatore di handicap, gli addetti ai lavori ed eventuali visitatori del giardino zoologico sono i normodotati. E’ questa l’immagine che a
volte mi viene alla mente pensando ai problemi dei portatori di handicap, immagine che viene ulteriormente amplificata quando succedono cose come quelle capitate al signor Beltrami in queste ultime settimane. Siccome ne hanno già parlato i giornali, la televisione e la radio, e siccome ne parla già la settimana braille, (giornale per ciechi), non mi dilungherò a spiegare quanto è accaduto. Comunque se ancora non lo sai ti dico che al signor Beltrami e a sua moglie è stata impedita l’adozione di un bambino perché, come sostiene una psicologa, lui non ha accettato l’handicap; la psicologa dice questo perché Beltrami è super attivo, perché quando era piccolo andava in bicicletta da solo (non vi erano molte auto a quei tempi), perché, con un’attività frenetica, secondo la psicologa, lui tenta di cancellare l’handicap. Per darti un’informazione completa ti dirò anche che la moglie di Beltrami è vedente. Non conosco personalmente Beltrami, ricordo vagamente il suo nome quando, molti anni fa, si trovava anche lui in quello stramaledettissimo collegio di Padova. La moglie non la conosco proprio. Non spetta a me giudicare beltrami e nemmeno difenderlo; ha già un avvocato certamente più esperto in materia del sottoscritto. Desidero però fare alcune considerazioni che, almeno credo, non troverai in altri ambienti.
Innanzitutto devo dire che la notizia sopra citata non mi ha stupito più di tanto anche se, ovviamente, ci si rimane sempre male. Non mi ha stupito molto perché anch’io, in situazioni certamente meno importanti rispetto all’adozione di un bambino, ho constatato ciò che è capitato a Beltrami. Infatti credo che a molte persone normodotate dia parecchio fastidio il fatto che un portatore di handicap faccia le stesse cose che possono fare le persone ritenute “normali”. Sinceramente non conosco i motivi di quanto appena detto, posso solo fare delle ipotesi; forse si tratta di persone che pur essendo normodotate non hanno saputo, o comunque credono di non essere riuscite, a realizzarsi come volevano e quindi a loro dà fastidio che un portatore di handicap, che è per forza di cose svantaggiato, faccia ciò che loro magari non sarebbero in grado di fare. Ma qui ci vorrebbe uno psicologo, certo, ma se incontriamo una psicologa come quella vista in precedenza… Altre persone normodotate sentono sempre l’esigenza di puntualizzare e sembrano dirti: “sì, io parlo, rido, gioco con te, ma guarda che “IO” sono quello sano e tu il povero handicappato”. Non lo dicono apertamente, anzi, in faccia ti diranno il contrario! Tuttavia lo puoi dedurre dal loro comportamento.
Come dicevo prima, la faccenda Beltrami non mi ha stupito più di tanto perché penso che queste cose siano molto frequenti anche se, per fortuna, non sono sempre così gravi. Ecco qualche esempio che ti potrà far capire ciò che voglio dire. Prima però lasciami dire che al mondo, per fortuna, ci sono anche persone normodotate che hanno un buon rapporto con i portatori di handicap, spesso sono proprio quelle persone che, di primo achito, magari giudichi male; sono quelle che trattano i portatori di handicap con naturalezza, che quando capita e quando ne hanno voglia li aiutano pure e lo fanno senza mettersi in mostra, senza vantarsi ed in silenzio. Ti aiutano come aiuterebbero qualsiasi altra persona, senza bisogno di associazioni o altre stupidaggini. E se si trovano all’interno di un’associazione o di un gruppo, fanno ciò che possono senza darsi tante arie. Poi, quando parlano con te, a volte si dimenticano pure che sei un portatore di handicap. Ti è mai capitato che, come non vedente, qualche persona ti chiedesse di guardare una scritta o un colore? Quando mi capitano queste cose io non ci rimango male, anzi! Ci faccio una risata e sono contento perché vuol dire che quella persona non è sempre lì a puntualizzare, a rimarcare che sei il “povero handicappato”. Sono queste le persone che apprezzo, anche se purtroppo sono ancora troppo poche. A volte mi viene da pensare che il paese in cui vivo sia particolarmente poco avanzato nel rapporto con i portatori di handicap, ma poi, quando succedono certe cose come quella di Beltrami, ti vien da dire il classico proverbio che tutto il mondo è paese. Ma veniamo agli esempi annunciati prima.
1: Delle associazioni gestite interamente (o quasi) dai disabili ho già parlato tante altre volte e quindi non le prenderò in considerazione per questo esempio (per non ripetere sempre le stesse cose). Ci sono poi associazioni e gruppi per portatori di handicap gestiti completamente (o quasi) da persone normodotate. Nel 1990 anche nel mio paese ne è sorto uno, adesso forse si è sciolto o comunque, grazie al Cielo, non è più attivo come prima. L’attività di questi gruppi è quella di prelevare dei portatori di handicap, di metterli in una stanza e dar loro una bibita e qualche pasticcino. Nei momenti più fortunati prendono i disabili e li portano a fare un giro per prendere una boccata d’aria o a mangiare una pizza. Poi ci sono gruppi che propongono al portatore di handicap la meditazione, altri nei quali il disabile viene portato a Messa. La cosa più difficile da ottenere in questo tipo di gruppi è il rispetto per i portatori di handicap da non confondere con la gentilezza. Infatti, questi non vengono considerati persone a tutti gli effetti ma bensì cittadini di serie B. La loro volontà, i loro desideri, le capacità individuali, le loro idee, le loro esigenze, insomma, la loro personalità viene messa in secondo piano dai gestori di queste associazioni per i quali i disabili sono solo pacchi postali da trasportare e girare a loro piacimento con lo scopo di mettersi in mostra agli occhi della gente dalla quale si aspettano che gli venga detto: “hai visto che bravi, portano in giro i poveri handicappati, poveriniiiiiiii, aaaahhhhhh sono proprio bravi!”. Un altro errore è quello di fare di tutta l’erba un fascio. Il fatto che io sia non vedente non significa che la mia personalità debba essere uguale a quella di un altro cieco. Ogni persona è unica ed inripetibile, questo vale anche per i disabili. L’anno scorso mi ha colpito un fatto. Durante una pausa, stavo parlando con una persona che avevo conosciuto da due giorni. Il discorso è andato a finire sulle associazioni per handicappati. Questa persona mi dice che anche lei ha una sorella con handicap psichico. L’hanno fatta partecipare ad un gruppo per disabili per un po’ di tempo ma poi non ci è più voluta andare, e sai il perché? Perché, nonostante questa persona abbia delle difficoltà nei ragionamenti, persino lei quando tornava a casa diceva: “ma insomma, mi trattano proprio come una scema”. Dal punto di vista pratico poi, queste associazioni o gruppi non servono a nulla. Se ad esempio io, come portatore di handicap, ho bisogno di una macchina per andare in un posto poco raggiungibile con i mezzi pubblici oppure ho bisogno di una macchina per andare a comprare un computer (che non posso mettermi in spalla, non sarà certo una bibita bevuta assieme ad altri dieci handicappati a risolvermi il problema. Poi non capisco perché un disabile non possa andare a messa là dove vanno tutti; se vuoi aiutare una persona in difficoltà nello spostamento (e quindi anche nell’andare a messa) comincia ad andare alla funzione religiosa con il portatore di handicap che magari hai vicino a casa, ma ti raccomando, non portarlo come un pacco, accompagnalo nella chiesa dove vai sempre anche tu.
2: Un giorno viene a casa mia un amico vedente, ora non ricordo se stavo trafficando con windows o se siamo andati nel discorso di windows; comunque, a questa persona quasi dispiaceva che anche i non vedenti potessero usare windows, si affannava a dire che un non vedente non lo userà mai molto bene, insomma aveva paura che un portatore di handicap invadesse il suo campo. La solita gabbia con rete a maglie larghe. E del resto non sono passati poi così tanti anni da quando ho incontrato due persone che, nonostante venissero a casa mia, avevano una paura folle ad uscire con il sottoscritto; si vergognavano, ed ancora una volta appare la gabbia; tu da una parte e loro dall’altra, guai a farsi vedere assieme. Ed il ricordo va ad un’amica scomparsa prematuramente l’ottobre scorso. Anche lei portatrice di handicap, con parenti che non la invitano ad un matrimonio perché si vergognano di avere una parente handicappata, con dei parenti che l’accompagnavano per strade secondarie per non farsi notare dalla gente, come se avere una disgrazia fosse una colpa. E che il portatore di handicap sia ancora in una gabbia (non completamente libero) lo confermano certe richieste d’aiuto. Mi è capitato di dare una mano a disabili nell’acquisto di materiale vario anche se questi godevano dei benefici economici derivanti dall’handicap (oggi un cieco, tra pensione ed accompagnatoria riceve uno stipendio anche se basso). Poi queste persone, un po’ alla volta, mi hanno sempre restituito i soldi. Questo capitava perché il portatore di handicap non è sempre padrone dei propri soldi, viene controllato, insomma la sua personalità viene limitata.
Conclusione. Non sono totalmente contrario alle associazioni ma soprattutto non sono contrario alla solidarietà, anzi! Accetto un’associazione per portatori di handicap solo quando questa dà un aiuto concreto senza enfatizzarlo. Tuttavia io penso che quando è possibile il disabile debba usare i normali servizi presenti nel nostro sistema sociale. In ogni caso, per dare una mano a chi ha bisogno non è sempre necessaria un’associazione. Credo nella solidarietà concreta, quella fatta non di parole ma di gesti concreti; contrariamente a quanto si dice, oggi questo tipo di solidarietà è abbastanza rara. Le persone tendono sempre più a chiudersi in un egoismo sterile che porta poi alla solitudine (alla faccia dei telefonini satellitari e di internet). Credo nella solidarietà che non fa distinzione tra handicappati e normodotati. Se ognuno di noi aiutasse un po’ di più le persone che si trova accanto, molti problemi sarebbero risolti. Purtroppo le cose oggi non vanno molto bene in questo senso; le persone adulte pensano solo a fare soldi e alla carriera, vedono le persone accanto a loro come ostacoli da superare o come un qualche cosa da sfruttare. Per i giovani, il loro dio (scritto volutamente con la d minuscola), è la discoteca; studiano o lavorano, poi durante il tempo libero vanno a zonzo con la macchina e, da mezzanotte fino al mattino, in discoteca dove cercano un rapporto con l’altro sesso che, ovviamente, si spaccherà al primo ostacolo; che scoperta, non c’è mai stato dialogo! E quando non studiano o non hanno un lavoro passano il loro tempo a far niente o davanti alla televisione o attaccati ad internet dove si costruiscono una realtà virtuale che non permette loro di vedere ciò che li circonda. Risulta difficile avere un aiuto da queste persone anche pagandole. Infatti, se oggi un giovane non lavora, ha comunque un sacco di soldi per andare a zonzo, i genitori lo viziano e non gli fanno mancare nulla. Ci sono giovani di vent’anni che, pur non avendo soldi propri, hanno la macchina, il computer, lo stereo, le tastiere musicali eccetera. Non hanno certo bisogno dei soldi di un portatore di handicap per soddisfare le loro voglie. E non sanno certo che cosa sia il disagio di non avere qualcosa. Ciò nonostante, li trovi depressi, superficiali, disinteressati. Credo siano queste le cose che dovrebbe studiare la psicologa che ha analizzato Beltrami; mi dimenticavo di dire che anch’hio da piccolo andavo in bicicletta da solo per la stradina di campagna dove abitavo; mi sono divertito e lo rifarei, alla faccia della psicologa!

Di Franco (moderatore)

Appassionato di radio ed elettronica fin da bambino, in età adulta mi sono dedicato molto al computer e qui trovi alcune delle mie esperienze con l'aggiunta di temi di attualità che mi sono cari.

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